Oggi si parte per Jaisalmer, quasi al confine con il Pakistan da cui dista circa 120 km.
Jaisalmer è chiamata la “città d’oro” per la pietra arenaria color miele con cui è costruita tutta la città all’interno della fortezza. Con le sue 99 torri.
Tempio induista
La fortezza che si erge su una collina in mezzo al deserto.
Ci attende un viaggio di parecchie ore, seppur su una strada provinciale di relativa tranquillità. Comunque bisogna sempre considerare la presenza di animali e persone che transitano e sostano, incuranti del traffico.
Durante il tragitto, infatti, ci imbattiamo in una carovana di pellegrini che con i loro stendardi colorati, camminano sul ciglio della strada. Devono raggiungere il tempio induista Baba Ramdev, distante diverse decine di chilometri.
Ancora più estremo, il pellegrinaggio di un uomo che deve raggiungerlo sdraiandosi a terra su una stuoia. Questa viene di volta in volta spostata più avanti da due persone, in modo che lui possa procedere alzandosi e poi sdraiandosi di nuovo.
Questo tipo di pellegrinaggio può durare anche dei mesi, in relazione alla distanza che si deve percorrere.
Anche noi, seppur in modo più rapido e prosaico, dopo la sosta per il pranzo, arriviamo al tempio, fermandoci prima in alcune bancarelle per comprare offerte da portare agli dei, come dolci, piccoli stendardi colorati e fiori.
Entriamo a piedi scalzi suonando al nostro passaggio la tradizionale campana posta all’ingresso, per attirare l’attenzione degli dei all’interno.
Ci incanaliamo nel flusso dei fedeli, passando davanti a vari altarini, alcuni con figure umane altri solo di offerte.
Il tempio, come struttura, assomiglia a un enorme mercato al coperto, non evoca minimamente alcun sentimento mistico, anche perché regna il caos, tra fedeli che cantano, altri che pregano, altri che parlano tra di loro.
Usciamo e riprendiamo la strada verso la nostra destinazione Baba Ramdev, dove arriviamo verso le 5 del pomeriggio.
Piscina interna
L’hotel è il Gorbandh Palace, bella struttura in pietra color miele, che però non si rivela all’altezza delle aspettative per quanto riguarda le camere, vecchiotte e non tanto pulite.
Comunque, la piscina all’aperto è invitante e sicuramente meriterà la nostra attenzione.
Per ora, però, decidiamo di salire su un’altura per visitare Baba Ramdev per la cremazione dei corpi dei defunti, il Pushkarna Trust.
La cremazione in India è obbligatoria, e come sempre accade, a ragioni pratiche vengono sovrapposti obblighi religiosi solo per indurre la popolazione a un dato comportamento, che altrimenti non seguirebbe.
Quando qualcuno muore, la famiglia deve cremare il suo corpo nel più breve tempo possibile, ma solo durante le ore di luce, quindi dall’alba al tramonto, altrimenti deve rimandare al giorno successivo.
Se è un uomo, si porta il corpo in un luogo come questo (le donne qui non possono entrare e vengono cremate in casa) vestito di bianco, il colore del lutto, e di arancione o di rosso se donna. Si accatasta della legna, solitamente di sandalo per il profumo.
Si cosparge di burro chiarificato per facilitare la combustione e si attendono dalle sei alle otto ore, finché anche la parte più resistente, cioè il cranio, non sarà ridotta in cenere.
Gli induisti credono che il cranio sia l’ultima cosa a bruciare perché lì si concentra l’anima del defunto, che man mano sale dal corpo per raggiungere la testa e potersi infine liberare e ascendere al Moksha, il nirvana induista.
Durante tutto il tempo della cremazione, i familiari girano intorno alla pira in senso orario senza lasciare mai solo il defunto. Poi, nel caso a morire sia stato un genitore, il primogenito rompe il cranio con un bastone.
Libera l’anima per non rischiare che qualcuno dedito alla magia nera possa rubare il cranio ancora integro e appropriarsi così dell’anima del defunto ancora all’interno per poter così esercitare i suoi riti malefici.
Poi, si raccolgono le ceneri, o solo parte di esse, ed entro 12 giorni si devono disperdere nelle acque del Gange o del lago di Pushkar, entrambe sacre.
Non tutti, però, possono essere cremati, a fare eccezione sono le donne incinte, perché portano dentro un’altra vita, i lebbrosi, chi è morto perché morso da un cobra, i neonati sotto i sei mesi perché ancora privi di anima e i santoni.
Al termine della visita, nella quale vediamo anche due cumuli di cenere l’uno accanto all’altro, evidentemente ancora non rimossi dai familiari, ci godiamo il tramonto che illumina di giallo e poi di rosso le mura in lontananza della città fortificata.
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