☀ Wendake – Quebec City

Riserva indiana Wendake - Capanno

Quinto giorno – 18 agosto

Abbiamo pensato di visitare prima la riserva indiana a Wendake e poi saremmo tornate di nuovo a Quebec City.

Dopo il nostro consueto caffè italiano nel Quebec, alle 9:00 eravamo giù al bar a fare colazione.Siamo salite di nuovo in camera per organizzare l’itinerario della giornata. La mattinata si era presentata uggiosa. Siamo uscite verso le 10:30 circa e ci siamo dirette a Wendake che, tra l’altro, era proprio lì vicino, a meno di 15 km.

Non ho mai visto una riserva indiana e, non so perché, l’ho sempre immaginata come qualcosa di chiuso. Tipo un fortino del Far West… tanto che quando siamo arrivate davanti al villaggio ricostruito e ambientato denominato

SITE TRADITIONNEL HURON: ONHOUA CHETEKBE

ho creduto che la riserva fosse quella, invece no.

Abbiamo fatto il biglietto d’accesso che comprendeva lo spettacolo di danza di benvenuto e siamo entrate nel villaggio vero e proprio.

Ci siamo trovate di fronte ad un grande capannone molto alto e lungo costruito con pali di legno con il tetto.

L’entrata del capannone era costituita da una porta anch’essa grande e alta sopra allo stipite avevano disegnato una tartaruga rossa che aveva ai lati due scudi rotondi fatti con piume bianche e rosse. Davanti al capanno c’era un piazzola con una canoa sulla destra.

Non siamo andate in quella direzione perché le guide del posto ci hanno chiamato per il rito di benvenuto. Abbiamo percorso un piccolo viottolo sterrato e, dopo aver superato l’area di ristoro, siamo arrivate davanti ad un locale nel quale ci hanno invitato ad entrare subito perché stava iniziando a piovere.

L’interno del locale era stato allestito con pelli di animali, tamburi, piume e articoli tipici della tribù Urone, il cui nome originale è Wendat.

Ci hanno fatto sedere su panchine disposte a semicerchio e, una volta tutti dentro, hanno chiuso la porta e siamo rimasti in semi oscurità, le poche lampade accese erano disposte in modo da rendere l’ambiente molto simile all’ antico Tepee, classica tenda indiana.

Lo spettacolo è stato carino interpretato dal 4 o 5 ragazzi giovanissimi ventenni o giù di li.

Indossavano gli abiti tipici degli indiani ed erano tutti scalzi. Non avevano alcuna sembianza indiana… un ragazzo era biondo con gli occhi azzurri, gli altri erano castani.

L’unica ragazza aveva i capelli ricci e la pelle bianchissima. Ho pensato che fossero stati contrattati da qualche ente locale e istruiti per la rappresentazione. Parlavano le due lingue ufficiali, francese e inglese.

Durante lo spettacolo hanno coinvolto alcuni turisti per fumare il calumet di benvenuto e hanno danzato con un sottofondo musicale ovviamente composto da canti tradizionali. L’evento era stato diviso in quattro scene, ognuna presentata da una voce registrata nelle due lingue.

Le prime tre scene erano danze che ricordavano i movimenti degli animali come l’aquila e l’orso, mentre l’ultima è stata la fumata di benvenuto. Il tutto è durato più di un’ora.

Quando siamo usciti dal locale diluviava, allora siamo corse sotto la tettoia dell’entrata al negozio di souvenir.

Il ragazzo biondo con gli occhi azzurri che nello spettacolo appena eseguito faceva la parte del “capo”, ci ha radunato e ci ha portato nel capannone principale.

Quando sono entrata all’interno mi è venuto in mente un documentario di Alberto Angela registrato proprio lì e nel quale si raccontava la vita degli Uroni.

Il capanno era enorme, altissimo e molto lungo!

Il tetto internamente sembrava fatto di paglia o di piccoli rami secchi, o tutti e due. Al centro c’erano due fuochi racchiusi da un cerchio di pietre e con una specie di griglia rialzata fatta con rami di legno.

La struttura del capanno era sorretta da grandi e lunghi tronchi disposti lungo i lati in modo da formare due piani.

Al primo piano, quello più basso a 1 metro circa da terra, erano sistemati i “letti” (sembravano cucce), coperti con pelle di animale.

In quello più alto erano appesi utensili da cucina, archi, varie tipologie di armi tipo il tomahawk (una specie di ascia), amuleti, Dream Catcher (acchiappasogni), ossa di cervi o alci, corni varie pellicce di animali.

Il capo ci ha raccontato come vivevano i “Wandat”. Le principali attività delle donne erano conciare le pelli e cucinare, mentre quella degli uomini erano costruire le armi, gli utensili per l’agricoltura. Le attività predominanti erano l’agricoltura (coltivavano principalmente mais), e allenarsi per eventuali battaglie.

Di lì a poco è entrato in scena un altro ragazzo, sempre con capelli molto chiari, ricci e lunghi che ci ha portato in un altro capanno più piccolo. Avevano sistemato una specie di museo con animali imbalsamati (castori, marmotte e un piccolo cervo) e una riproduzione in scala del villaggio.

In una parete del capanno c’erano varie fotografie e un grande poster che poi ho comprato al negozio di souvenir in uno erano illustrati i vari accampamenti e le diverse tribù.

Ci ha detto che loro erano tutti discendenti dei Wandat, tutti!

Che la riserva non era solo quel posto recintato a mo’ di villaggio ma tutto il paese di Wendake!

Hanno la loro polizia (9 poliziotti, precisamente) la loro amministrazione, uffici comunali ecc. che la riserva era auto-gestita e che, ad esempio, la polizia di Quebec City non si occupa dei problemi riguardanti quel territorio…

Sono rimasta affascinata!

Ci ha spiegato, anche, che non hanno una vita facile perché il loro spirito libero è circondato dal mondo esterno al quale non riescono ad adattarsi facilmente.

Pochi ragazzi arrivano all’università.

Sempre lui ci ha accompagnato dentro ad un Tepee bianco ed enorme, che stava lì vicino.

All’interno e attaccati alla tenda c’erano altre fotografie e ritagli di giornale del ‘700 e dell’800, con le immagini di grandi capi e delle loro discendenze.

Mi ha fatto sorridere come nelle foto degli alberi genealogici, i costumi cambiavano man mano che salivano aumentavano gli anni, non capivo se fossero meno ridicoli quelli antichi o quelli più “moderni”.

Uscendo dal Tepee ci siamo ritrovati in un’area delimitata da tante pietre disposte a creare un cerchio con dentro i resti di legna bruciati e, vicino, tre statue fatte con pietre messe una sopra l’altra che simboleggiavano un uomo e due bambini a braccia aperte.

Bellissime!

Poi ci hanno fatto vedere il capanno delle barche e, infine, siamo andati nel capanno sacro, dove ci hanno chiesto di non fare fotografie perché quello era il capanno dove si concentravano le energie e dove si tenevano i riti sacri.

Quando la visita è finita ha smesso anche di piovere. Abbiamo salutato la nostra guida e siamo andate al negozio di souvenir per comprare alcuni dei regalini da portare in Italia.

Quando siamo uscite dal villaggio recintato e ripreso la macchina per andare a Quebec City.

Abbiamo rifatto la strada dell’andata e abbiamo guardando Wendake con una diversa ottica.

Abbiamo fatto caso alle varie targhe e nomi di vie in lingua urone. Abbiamo visto il loro ambulatorio medico, il municipio, il museo, le varie botteghe artigiane… insomma abbiamo realizzato che Wendake era una intera riserva indiana che, da un punto di vista più generico, non era così diversa da altri paesetti in cui siamo passate.

Per entrare al centro di Quebec abbiamo rifatto la stessa strada del giorno prima, ma abbiamo parcheggiato al Cour intérieure du Petit Séminaire de Québec, proprio dietro la cattedrale di Notre-Dame de Quebec (12$CAD x 12 ore).

Ci siamo dirette al belvedere Montmorency Park National Historic Site.

Il panorama si estendeva da un lato con la vista al porto e dall’altro al castello di Frontenac. Siamo andate verso la Rue du Petite Champlan (la via più stretta del Canada) che ci è piaciuta molto anche se era affollatissima.

La via era piena di negozi e ristorantini. Dopo aver fatto un giro perlustrativo, abbiamo scelto un bar con i tavolini all’esterno coperti da tende.

Ci siamo prese una birra, una zuppa di pomodoro improponibile, accompagnate da un piatto con salmone e olive… il tutto molto discutibile.

Il tempo di mangiare e ci siamo rimesse in strada per fare un giro verso il porto dove c’era una grande nave che da lì a poco sarebbe salpata per una crociera sul San Lorenzo fino a Taodussac e oltre, che era anche il nostro obiettivo del viaggio.

Siamo poi arrivate alla Place Royale dove c’è il famoso murales La Fresque des Québécois.

Un gigantesco trompe-l’oeil di 400 mq. che ritrae una giornata cittadina in cui i personaggi raffigurati sono i personaggi storici più rappresentativi del paese (Samuel de Champlain, Jacques Cartier, Félix Leclerc, ecc.).

Passeggiando per la città abbiamo notato che sui tetti spioventi delle case c’erano delle scale e ascoltando una guida italiana che stava spiegando questa curiosità a un gruppo di turisti, abbiamo saputo che le scale erano messe li di proposito per salirci d’inverno per spalare la neve dai tetti.

In quella occasione abbiamo anche sentito la guida spiegare il perché ci sono gli scalini davanti a tutte le porte delle case, ed effettivamente servono a risparmiare la porta d’ingresso dalla neve dell’inverno.

Nel frattempo ha ricominciato a piovere e allora ci siamo dirette alla macchina decise a fare un giro alla Citadelle.

La Citadelle che è una fortificazione che separa la città vecchia dal parco della piana di Abraham.

E’ il luogo dove si svolse la battaglia del 1759 fra inglesi e francesi.

Pioveva troppo e in verità non siamo riuscite a vedere molto anche perché nel frattempo stava scendendo anche la nebbia.

Abbiamo ripreso la via del ritorno.

Ci siamo fermate a comprare qualcosa da mangiare e siamo rientrate in albergo. Ho scaricato le mie fotografie e abbiamo sistemato ancora una volta le valigie per la partenza del giorno dopo.

Abbiamo mangiato e siamo andate a dormire.

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